RICERCA E CROWDFOUNDING
Si sta diffondendo in rete la notizia della ricerca che Eugenio Leucci, ricercatore dell’Università di Pavia, ha cominciato a svolgere sulle origini del Vegetarianismo in Italia con tutti i risvolti filosofici ma soprattutto sociali che nascevano già alla fine dell’800 e che, se si fossero sviluppati a dovere, oggi ci parlerebbero da dentro di un’altra società, più giusta certamente e forse più in pace con se stessa e il resto del mondo.
Eugenio Leucci, già autore di numerosi saggi, si definisce “cacciatore di storie” e risale la corrente del pensiero vegetariano e non violento di Edmondo Marcucci e Aldo Capitini e anche di altri pensatori ancor meno conosciuti ma antesignani come Niccolò Grillo e Richard Ryder, e chiede che sia finanziata la sua ricerca attraverso il crowdfounding.
Tutti possiamo partecipare, anche nel nostro piccolo, e finanziare questa ricerca: non basta non mangiare carne per salvare gli animali, è già molto ma è l’inizio; creare le basi per un tessuto sociale integrato uomo-animale può cambiare all’origine le dinamiche collettive e, toccando la radice delle cose, può farlo per sempre!
ALLA RICERCA DEL VEGETARISMO…PERDUTO
Ti definisci un “cacciatore di storie”: nella tua ricerca sulle origini del vegetarianismo potresti sentirti un po’ come Mr. Livingstone alla ricerca delle sorgenti del Nilo… in mezzo a una giungla (di interessi economici e culturali di ogni tipo): forse è per questo che non hai trovato ancora i fondi o un editore disposto a finanziare il tuo lavoro?
Effettivamente, fare ricerca in Italia oggi è come districarsi in una giungla! E chi vuole “dare la caccia” a storie dimenticate o poco conosciute (cioè quello che uno storico dovrebbe fare) deve anche impegnarsi inevitabilmente a scovare fonti di finanziamento che possano, non dico dargli da vivere, ma quantomeno permettergli di portare avanti una ricerca senza rimetterci di tasca propria. Purtroppo i fondi a disposizione (sia pubblici che privati) sono sempre di meno e, quando ci sono, vengono dirottati verso le scienze “forti” (biologia, medicina, matematica, ecc.) o verso progetti che hanno una ricaduta economica immediata, perché magari collegati alla produzione aziendale.
Uno storico quindi parte svantaggiato. Soprattutto se intende occuparsi di argomenti fuori dal mainstream, come penso che sia una ricerca sulle origini del movimento vegetariano e animalista. È per questo che, dopo aver a lungo cercato fonti di finanziamento “istituzionali”, ho deciso di ricorrere allo strumento del crowdfunding. Anche perché credo che, oltre ad essere un buon mezzo di finanziamento, abbia un forte valore politico: propone infatti una cultura che parte “dal basso” e che, per questa ragione, cerca di sganciarsi dalle logiche del mercato e dell’utilitarismo economico.
LA “LEGGEREZZA” DEL GENIO
Secondo te perché le figure di Leonardo da Vinci e di Albert Einstein sono state spiegate ed esaltate in ogni loro aspetto a eccezione del fatto che erano entrambi vegetariani dichiarati e protettori dei diritti degli animali?
Perché si è sempre fatto fatica a riconoscere il vegetarismo come una componente fondamentale del loro genio. Ed è anche emblematico di come ancora si considera il problema dei diritti dei non umani. Intendo dire che si stenta ancora a percepire la questione animale come una questione di giustizia continuando invece a considerarla come un affare per gente “troppo sensibile”, per eccentrici sentimentali che dovrebbero occuparsi di problemi ben più seri. Eppure, è difficile liquidare Einstein e Leonardo come due sempliciotti dal cuore di marzapane. Einstein, in particolare, aveva colto perfettamente il nodo della questione: cambiare il proprio stile di vita e quindi le proprie abitudini alimentari, diceva ai suoi tempi, sarà fondamentale per salvare la sopravvivenza dell’uomo sulla Terra. E questo non solo perché il consumo di carne è insostenibile dal punto di vista ecologico, ma perché lo è anche dal punto di vista etico.
Nel tuo percorrere a ritroso la storia del vegetarianismo pensi che riuscirai a unire in un unico corpus i temi della violenza sugli animali e della violenza dei rapporti sociali tra uomo e uomo?
Sinceramente credo che sia fondamentale farlo. L’oppressione esercitata dall’uomo sull’uomo e quella esercitata da questi sulle altre specie sono facce di una stessa medaglia. La matrice è la stessa: quella del dominio, della sottomissione, della violenza. Per questo credo fermamente che diventare vegetariani sia un atto politico. Ma non lo dico io, lo diceva Aldo Capitini: il suo vegetarianismo fu anche una ribellione contro la violenza del regime fascista e, in genere, contro ogni tipo di violenza. Per questo, sono molto preoccupato da chi oggi, nel mondo dell’animalismo, si interessa esclusivamente della sorte degli animali. Attenzione! [highlight color=”#81d742″]Il nostro impegno non deve essere solo per i diritti delle altre specie, ma per la pace e per la giustizia fra tutti gli abitanti di questo Pianeta. Una giustizia e una pace che siano “integrali”, appunto, cioè che includano tanto gli umani quanti i non umani.[/highlight]
ANCHE ALDO CAPITINI ED EDOMONDO MARCUCCI NELLA RICERCA
Come sei venuto in contatto con Edmondo Marcucci e Aldo Capitini?
Il mio incontro con gli scritti di Edmondo Marcucci è avvenuto per caso, attraverso la lettura di un volumetto intitolato Che cos’è il vegetarismo? pubblicato da Edizioni dell’Asino. È anche attraverso questo libro che è nato in me il desiderio di approfondire la storia e l’evoluzione del movimento vegetariano italiano. Nelle sue riflessioni, infatti, Marcucci citava alcuni dei primi libri sulla questione animale, come per esempio quelli di Nicolò Grillo, un professore ligure che sin dai primi anni del secolo XX si impegnò in un’accorata campagna in favore dei diritti dei non umani. Un personaggio di grande tenacia e culturalmente poliedrico che però è rimasto del tutto sconosciuto. Come sepolti dalla polvere degli anni sono stati tanti altri uomini e donne che popolano la storia del movimento animalista e vegetariano, le cui vicende meritano di essere riportate alla luce. Alcuni documenti, come i carteggi da te citati, per fortuna sono stati pubblicati e mi saranno di grandissimo aiuto. Altri però giacciono ancora fra gli scaffali di archivi e biblioteche, aspettando solo di essere aperti, letti, divulgati…
Ai primi decenni del secolo si comincia a parlare, oltre che di vegetarianismo, anche dei diritti delle donne: vorresti fare una riflessione sul rapporto tra l’oppressione maschile sulle donne e di tutto il genere umano sugli animali?
Le donne, come gli animali, gli schiavi e, fino a un passato piuttosto recente, i neri e tutti i popoli colonizzati sono stati a lungo considerati, né più né meno, che oggetti a disposizione del maschio bianco e carnivoro. La storia, per fortuna, si è diretta verso la loro emancipazione. Ovviamente dell’emancipazione di tutti, tranne che degli animali. Però se osserviamo bene, si tratta di un’emancipazione assolutamente di facciata. Solo per limitarci al genere femminile, c’è un’immagine che più di ogni altro ragionamento illustra bene la continuità fra lo sfruttamento del corpo animale e quello del corpo femminile ed è possibile vederla in uno splendido documentario intitolato proprio Il corpo delle donne. Verso la fine del film si vede la soubrette di uno show televisivo, in reggiseno e mutande, tirata su da un gancio, simile a quello su cui vengono appesi i prosciutti. Con la ragazza in quella posizione, la telecamera fa il primo piano del suo sedere, fino a che non compare un uomo che le timbra la carne, proprio come se fosse il marchio a fuoco che si fa sul prosciutto. Un’immagine orripilante, ma che viene accolta dalle risate generali. Ecco, benché quello non fosse un documentario sui diritti animali, credo che con quella singola scena abbia illustrato efficacemente tutta la violenza dell’attuale sistema culturale: un sistema che reifica tanto la donna quanto l’animale accomunandoli nello stesso destino di sfruttamento e di umiliazione.
UNA RIVOLUZIONE MANCATA CHE ADESSO PUÒ CENTRARE IL SEGNO
La rivoluzione degli anni ’60 e ‘70 è stata probabilmente una rivoluzione mancata: chi ne è stato protagonista ha dimenticato di coinvolgere nella liberazione delle classi deboli anche gli oppressi dagli oppressi, gli animali: come possiamo oggi ovviare? Il tuo lavoro potrebbe essere funzionale anche a questo?
È vero, quegli anni sono stati un’occasione mancata, ma sono stati anche anni che hanno dato un profondo slancio al movimento ecologista e quindi, indirettamente, anche alla questione animale. Del resto, non dobbiamo dimenticare che proprio negli anni Settanta lo psicologo Richard Ryder coniò il termine “specismo” e Peter Singer scrisse un testo fondamentale come Animal Liberation. Ma è vero che si trattava di un dibattito di nicchia e che sia la cultura che la politica sono rimaste fondamentalmente estranee al problema dello sfruttamento dei non umani. [highlight color=”#81d742″]È per questo che sono convinto che scrivere la storia del movimento animalista e vegetariano significhi, in un certo senso, dargli più dignità e conferirgli maggiore autorevolezza politica.[/highlight] Certo, sappiamo che ancora per qualche tempo l’autoritarismo del mercato rimarrà ben più forte delle nostre rivendicazioni, soprattutto se i nostri governi continueranno a chinarsi a ogni suo diktat; ma noi almeno avremmo rafforzato le nostre armi e avremmo contribuito, anche attraverso la costruzione di una nuova cultura, a gettare le basi di una società più giusta.
Il vegetarianesimo contiene in sé una missione civilizzatrice, perché – secondo te – sia la cultura cattolica sia quella comunista e di sinistra che hanno a cuore questa funzione hanno mancato completamente la questione animale?
Purtroppo la cultura cattolica si è sempre appiattita sulla solita interpretazione dicotomica della realtà: da una parte l’uomo, creatura prediletta, e dall’altra il mare magnum della natura, con tutti i suoi abitanti non umani, ridotti a mero strumento della stirpe di Adamo. Per quanto non manchino interpretazioni più illuminate del messaggio cattolico, sono dell’opinione che nulla cambierà fino a che le religioni continueranno a raccontarci che solo l’essere umano è stato fatto a immagine e somiglianza del divino, sottintendendo in questa maniera l’inferiorità di ogni altra creatura.
D’altra parte, il marxismo è stato storicamente schiavo dello stessa visione dualistica, uno dei pochi dogmi che ha sempre condiviso con la religione cristiana. Ma anche in questo caso, stiamo parlando solo di una parte della sinistra, quella che storicamente è stata egemone. Il socialismo non marxista e libertario è stato ben più aperto alla questione animale (e non solo a questa): mi basta citare qui il geografo Élisée Reclus, anarchico e vegetariano, ma anche il socialista inglese Henry Stephen Salt, il primo in Europa a parlare esplicitamente di liberazione animale nel suo Animals’ Rights Considered in Relation to Social Progress, apparso per la prima volta nel 1892 (del testo ne è uscita recentemente una traduzione italiana curata da me e dal prof. Attilio Pisanò per le Edizioni Scientifiche Italiane).
LIBERTÀ, COMPASSIONE, PACE
La pace integrale di Edmondo Marcucci: a volte, sentiamo parlare anche di “compassione integrale”, secondo te viene prima la pace o la compassione nel cuore dell’uomo (anche rispetto agli animali)?
Senz’altro la compassione, madre di ogni pacificazione e di ogni richiesta di giustizia. Una pace senza compassione è semplicemente una tregua nell’incendio del mondo o, se vissuta in solitudine, lontano dagli altri, è solo una quiete egoistica. Sentire il dolore degli altri sulla propria pelle, di tutti gli altri, anche di quelli non umani, ci spinge ad agire, per quanto limitate possano essere le nostre possibilità di azione. Ma dev’essere una compassione integrale, vissuta anche nei confronti di chi è diverso da noi, magari anche dei nostri avversari e dei nostri nemici. Uno sforzo che, a volte, può apparire titanico. Eppure è soltanto attraverso quest’impegno che si può costruire una pace davvero accogliente. Una pace che giustamente Edmondo Marcucci definiva “integrale”, perché abbatte finalmente quel muro maledetto che la cultura del dominio ha eretto fra noi e l’altro, chiunque egli sia, qualunque sia, come diceva il filosofo Jeremy Bentham, il colore della sua carnagione, la villosità della sua pelle e il numero delle sue gambe.
Ilaria Beretta