IL SEGNO GRAFICO
«Il disegno rappresenta due fili d’erba a sintetizzare il mondo vegetale, che divergono verso l’alto in atto di offerta e d’amore, ma anche di accoglimento delle energie solari e cosmiche. Sul filo montante di sinistra un rigonfiamento a foglia rappresenta il passaggio dall’erba alla pianta, manifestazione della forza evolutiva della vita». Era il 1975 e con queste parole Ferdinando Delor, presidente della Associazione Vegetariana Italiana, presentava il “germoglio” sul numero 23 del trimestrale L’Idea Vegetariana, organo stampa ufficiale dell’associazione.
Da allora, in poco tempo il Germoglio diventa, oltre che logo e simbolo di A.V.I., il segno distintivo delle persone che aderiscono all’associazione con i suoi principi fondanti collegati alla diffusione dell’alimentazione vegetariana, oggi diremmo cruelty free. Ma intorno all’associazione, al suo statuto e al Germoglio si sviluppa ben di più: sfogliando le riviste e soffermandosi sugli articoli si scopre tutto il dinamismo dell’idea vegetariana, che non è solo mangiare qualcosa per non mangiarne un’altra.
NON SOLO L’ALIMENTAZIONE
L’associazione lavora attivamente, fin dalle sue origini, per una società non violenta – uomini tra di loro e uomini verso gli animali – e, cosa importantissima anche ai nostri giorni, si batte per la condivisione e la diffusione di informazioni corrette sulla salute e sull’alimentazione, perché allora come oggi fa fatica a diffondersi un’informazione che permetta alle persone di scegliere in coscienza e in libertà.
Non è un caso infatti che gli scritti della rivista coinvolgano da un lato nutrizionisti, biologi, cuochi che mostrano anche nuove ricette (siamo negli anni ’70!) ma anche studiosi di filosofia e religioni, persone di cultura come Margherita Hack e maestri spirituali come Rukmini Devi Arundale. Infatti, sia il Germoglio che il periodico sembrano dirci: «È l’alimentazione ciò che più ci collega alla Terra, perché è la cosa più intima alla quale permettiamo di entrare dentro di noi!».
LA DIMENTICATA SACRALITÀ DEL CIBO
E per decenni nella nostra società a questo non è stato dato sufficiente rilievo. Ancora nel dopoguerra la cultura contadina sopravvissuta all’urbanizzazione e all’arruolamento nelle fabbriche intrecciava sacro e profano e tratteneva ancora frammenti di rispetto della terra e del cibo: il segno di croce per chi era credente prima di avvicinarsi al desco, gli animali che riposavano la domenica insieme agli umani. Oggi il cibo nel mondo del benessere è pensato solo come piacere e necessità, ma non è solo questo, e non può esserlo: il cibo è veicolo.
Ci porta salute o malattia, ci porta forza o debolezza e determina le nostre scelte economiche (quando facciamo la spesa) e il nostro stile di vita. Se guardiamo i nostri budget familiari ci accorgiamo di quanto spendiamo per il cibo rispetto a tutto il resto e non potremmo fare altrimenti: nutrirsi è necessario, tanto più che il cibo non nutre solo il corpo. Il Germoglio, simbolo dell’A.V.I., rimanda anche a questo: due fili d’erba aperti verso l’accoglienza del dono che la Terra fa con la sua fertilità, la forza dirompente della crescita e anche la fragilità delle vite che sono in nostro potere. La vita rigogliosa dei raccolti, le povere vite degli animali negli allevamenti.
ALLA RICERCA DELLE PROPRIE ORIGINI
È importante risalire la corrente della propria storia per capire chi si è veramente e da dove si è partiti: il Germoglio è nato dall’ingegno del grafico Bruno Nascimben, che con la sua idea ha rappresentato con completezza il rispetto della Natura e della Vita e la convinzione spirituale intimamente legata a una scelta non violenta. Una scelta a tutto campo che ai nostri giorni è più che mai attuale, visti i conflitti che ci bussano alla porta.
La Società vegetariana italiana nata nel 1952 e il Germoglio nato nel 1975 rappresentano già tutte le istanze che i vari movimenti (non violenti, animalisti, vegani…) faranno proprie: idee forti, semplici, complete.
CAPITINI E MARCUCCI: DUE GIGANTI NEL… FUTURO
Leggiamo queste righe scritte da Edmondo Marcucci ad Aldo Capitini, nel carteggio 1941-1963 (Carocci Editore):
«Caro Aldo (…) ho veduto da un valigiaio a Jesi un cuoio sintetico (Meliga, ditta di Milano) che mi sembra adatto per il sopra delle scarpe, per la suola c’è già il coria, la gomma, ecc… Bisognerebbe domandare per vedere se è possibile fare scarpe senza cuoco animale. Il tuo aff.mo Ed»
Era il 1958! E le idee di Capitini e Marcucci già superavano la questione salutista del cibo e si rivolgevano ad orizzonti più vasti: avevano coscienza di lavorare anche per un qualcosa che superasse l’alimentazione fine a se stessa e investisse società, comportamenti e consumi.
OGGI E SEMPRE
Oggi le scarpe senza l’impiego di pelle di animali cominciano a trovarsi nel negozi e on line e i 1500 aderenti all’associazione di ieri sono diventati l’8% della popolazione italiana tra vegetariani e vegani (dati Eurispes 2016). Sono trascorsi quasi 65 anni dalla fondazione di A.V.I e oltre 40 anni dalla diffusione del Germoglio: molte cose sono cambiate, le persone, forse anche meglio informate, scelgono e hanno un peso. Anche se la società è sempre pronta a zittire o silenziare chi non s’inserisce nei suoi meccanismi ben oliati, possiamo dire che questo Germoglio non si lascia calpestare facilmente e, come la vita, rinasce e rinasce.
Ilaria Beretta
2 dicembre 2016