Ottobre 28, 2016

Antropocene: la nuova era glaciale

Antropocene: padroni (o schiavi) del mondo!

L’uomo è padrone del mondo. Lo sapevamo già, direte voi! Ma oggi il nostro predominio ha un sapore nuovo, sancito dalla Geologia e non solo da personali pulpiti filosofico-religiosi e asserzioni politico-economiche. L’uomo DOMINA perché è in grado di cambiare la Terra, la composizione delle sue rocce, i suoi equilibri e meccanismi e, così facendo, può determinare la vita di tutti gli esseri viventi.
Il 29 agosto scorso il consesso degli scienziati e dei geologi ha presentato le sue valutazioni al Congresso geologico internazionale di Città del Capo e ha dichiarato l’inizio di una nuova era geologica chiamata Antropocene, ovvero determinata da Antropos, l’uomo. Pare che l’umanità sia sulla Terra da 200.000 anni ma che sia stato proprio negli ultimi 60-70 che abbia lasciato la propria pesante impronta al punto da renderla ben visibile e non cancellabile. Lo scienziato, scrittore e ambientalista James Lovelock aveva già espresso la considerazione che il “sistema Terra”, chiamato nei suoi scritti Gaia, una volta manomesso dall’uomo costringerà l’umanità a diventare manutentrice obbligata (schiava?) della Terra per far sopravvivere le generazioni future.

Inquinamento, agricoltura e allevamenti

Immersi nella nuova Era a noi espressamente dedicata, solleticati nel nostro naturale protagonismo, forse non ci colpisce più di tanto l’allarme lanciato dalla WMO, World Meteorological Organization e ripreso da tutti i più importanti media: dallo scorso 2015 si respirano nell’aria 400 ppm (parti per milione) di CO2, una soglia che veniva considerata di allerta e che adesso è stabile, anzi è in aumento, e che sarà per sempre la “normalità” di vita su questo Pianeta.
La FAO ha indicato da tempo l’agricoltura e l’allevamento intensivi come la prima causa del riscaldamento globale e, secondo un servizio realizzato da Global Warning Made in Italy e riportato da Corriere.it: «L’attuale sistema di produzione globale di cibo può essere responsabile dal 44 al 57% delle emissioni globali di gas serra. Un dato che considera agricoltura e allevamento al 20% unito anche al trasporto di cibo e materie prime (fino al 6 %); la manifattura e il packaging (fino al 10%); gli scarti alimentari (fino al 4%); il «raffreddamento» e la vendita al dettaglio (fino al 4%)».
Ora, cosa c’entra la concentrazione di CO2 con il riscaldamento globale? Semplice! L’accumulo di CO2 nell’aria intrappola il calore nell’atmosfera, impedendogli di dissiparsi oltre essa; il risultato è che con essa si riscalda e anche la crosta terrestre. Gli scienziati del clima hanno fissato a 450 ppm il punto di non ritorno, cioè la concentrazione di CO2 nell’atmosfera che certamente farebbe aumentare la temperatura globale di oltre 2 °C, rispetto alle sue medie annuali attestate sui 15 °C, con conseguenze che già vediamo come lo scioglimento dei ghiacci e della banchisa artica.

La deforestazione come segno di degrado

La FAO punta il dito anche sulla deforestazione, direttamente collegata alla produzione di cibo, infatti secondo Eva Muller, direttrice per le politiche e le risorse forestali: «Tra il 2010 e il 2015 la perdita di foreste è stata di 7 milioni di ettari ogni anno». Noi sappiamo che i primi imputati di questa conversione sono le «monocolture» e l’allevamento: l’olio di palma in Indonesia, oggi terzo paese al mondo per quantità di emissioni, e la soia e i pascoli di bestiame in America Latina, in particolare in Brasile, che segue nella classifica dei massimi inquinatori al mondo.

L’Italia protagonista dell’importazione di carne per prodotti Igp

L’Italia è stata nel 2015 il principale importatore europeo di carne bovina dal Brasile; nel primo semestre del 2016 ne sono state acquistate oltre 16mila tonnellate, destinate alla ristorazione a produzioni industriali e alla produzione della bresaola della Valtellina Igp. Inoltre, acquistiamo carni da Francia, Polonia, Olanda e Germania, ma in quantità nettamente inferiori rispetto al Brasile dove i sistemi di controllo praticamente non esistono, né su ciò che viene dato da mangiare agli Animali (antibiotici e ormoni della crescita, ad esempio) né sulle loro condizioni di vita, se così possiamo chiamarla, e di morte. La grave e perdurante crisi economica brasiliana ha reso il tessuto industriale e imprenditoriale di questo Paese più spregiudicato e in nome della corsa al profitto vengono continuamente ignorati valori fondamentali come trasparenza e tracciabilità. In questo scenario, possiamo immaginare che cosa ne sia dell’etica del rispetto verso gli Animali e del riguardo verso l’ambiente, nel quinto paese al mondo per superficie totale.

Alimentazione tradizionale: le alternative ci sono e sono buone.

Chissà se grazie alla diffusione di queste notizie, grazie ai grandi media nazionali e internazionali, chi ancora si nutre di carni può pensare di smettere o almeno ridurne il consumo, pensando alla propria salute e a quella dell’ambiente. Quando ci nutriamo di un altro essere vivente (e senziente) mangiamo una vita e anche la salute della Terra, diciamo di sì a chi ha deciso di vivere esclusivamente secondo profitto senza riconoscere diritti altrui e senza riconoscersi dei doveri.
L’Antropocene, non è solo un’era geologica segnata irreversibilmente dall’uomo, ma un tempo presente dove vivere da inconsapevoli o – peggio – finti inconsapevoli significa spargere direttamente inospitalità, gelo e morte intorno. Eppure, oggi più che mai, ci sono piccole e medie aziende attente all’ambiente – alcune anche ad emissioni zero – al rispetto di uomini e Animali, che producono cibi vegetali, biologici, gustosi e nutrienti: perché non provare ad assaggiarli?

Ilaria Beretta
28 ottobre 2016