TRILIONI PER INVESTIMENTI VEG
Con il classico pragmatismo anglosassone, in queste stesse settimane negli Stati Uniti, il paese maggior consumatore di carne bovina al mondo, si è organizzata una coalizione di investitori pubblici mondiali, che ha raccolto fino a questo momento 3 TRILIONI e 250 mila dollari per incentivare 16 multinazionali dell’alimentazione del calibro di Kraft Heinz, Nestlé, Unilever e General Mills a diversificare le loro produzioni spostandole da ingredienti di derivazione animale a fonti di proteine vegetali. La cifra in gioco è importante e merita una riflessione: se Paperon de’ Paperoni fosse qui con noi sarebbe l’unico a non avere le “penne dritte”!
CONSUMI ALTI, STANDARD MINIMI
Da tempo molte aziende che vogliono orientare la loro produzione verso la scelta vegetariana e vegana si sono riunite in FAIRR (Farm Animal Investment Risk & Return), società nata in risposta a quello che viene ritenuto un “vuoto” di informazioni reali tra i rischi d’investimento e le possibilità di guadagno nelle attività connesse all’allevamento di animali. Certo, il discorso è sempre relativo al business e ha poco a che vedere con la sensibilità verso gli animali, ma può comunque avere importanti ricadute sulla condizione animale in particolare e sulla salute di tutti in modo più generale. È interessante notare che queste aziende si sentono “in pericolo”, perché la domanda di prodotti di origine animale è sempre più alta ma i livelli di produzione sono già altissimi e non possono essere aumentati ulteriormente; inoltre gli standard di benessere degli animali sono sempre più esigui, in conseguenza del loro sfruttamento intensivo, ma questo abbassa la qualità dei prodotti. La politica di queste aziende, dunque, tradotta in lingua semplice si può riassumere così: poiché la produzione è già al collasso e non potrà né aumentare di numero né migliorare di qualità cerchiamo di indirizzare le nostre risorse verso prodotti vegetali, incentivandone il loro consumo.
Jeremy Coller, fondatore dell’iniziativa FAIRR ha dichiarato:
«L’allevamento intensivo ha già livelli di emissioni e di inquinamento che sono troppo alti, e gli standard di sicurezza e il benessere che sono troppo bassi. Semplicemente non possono far fronte con il previsto aumento della domanda di proteine globale. Gli investitori vogliono sapere se le grandi aziende alimentari hanno una strategia per evitare questo eccesso e trarre profitto dall’immissione sul mercato di proteine di origine vegetale, con una crescita del 8,4% all’anno per i prossimi cinque anni».
E alcuni colossi hanno già cominciato a muoversi in tale senso, si pensi a General Mills, che ha ideato i marchi Häagen Dazs e Yoplait, presa ad esempio dal capitalismo statunitense per aver supportato una start-up come Beyondmeat (Al di là della carne) http://beyondmeat.com/products.
FINANZA SI’, MA ANCHE SCIENZA E CULTURA
Gli investitori del fondo promosso da FAIRR stanno anche rispondendo ad un recente studio dell’Università di Oxford, in cui è stato calcolato che se le diete a livello mondiale riducessero la loro dipendenza dalla carne, ciò potrebbe portare a un risparmio di spesa sull’assistenza sanitaria a questa legata e a danni climatici evitati per circa 1,5 miliardi di dollari entro il 2050. Quest’analisi prende in considerazione anche attività governative in vari stati del mondo atte a disincentivare i consumi carne, come l’introduzione in Danimarca della tassa sulla carne rossa o il piano del governo cinese per ridurre del 50% il consumo di carne dei suoi cittadini.
FAIRR collabora con ShareAction, un ente che dedica i suoi fondi a studiare ed indirizzare investimenti responsabili “per portare un cambiamento positivo per le persone e il pianeta”, conosciuto ai più per aver sostenuto le campagne elettorali di Barack Obama. Clare Richards, manager delle campagne di ShareAction ha detto:
«La tendenza è la creazione di nuove opportunità nei piatti e nei portafogli. L’evidenza suggerisce che le fonti di proteine vegetali sono migliori per la vostra salute, il portafoglio e il pianeta. I consumatori riconoscono sempre di più questi benefici e ora questa coalizione di investitori lungimiranti sta facendo lo stesso. Come risultato di questo impegno ci auguriamo che più aziende abbracceranno le opportunità offerte da questa tendenza crescente dei consumatori».
IN ITALIA
In Italia, patria del buon vivere e del buon cibo e anche di un certo coraggio imprenditoriale, sono centinaia le piccole aziende che producono alimenti di origine vegetale, sarebbe veramente interessante una cordata di investitori etici che finanziasse il loro sviluppo. Tutti ne potremmo giovare: nuovi posti di lavoro, riconversione di allevamenti in attività più redditizie, alti standard qualitativi tipici dell’imprenditoria Italia, etica dell’alimentazione, diminuzione dello sfruttamento animale e tanta salute nel piatto!
Ilaria Beretta
13 ottobre 2016