Le ragioni di chi sceglie di diventare vegetariano e quindi di non cibarsi più di carne sono molteplici. Molte persone compiono questa scelta per ragioni etiche, rifiutandosi di essere causa di sofferenze e morte per altri esseri senzienti. Altri diventano vegetariani per ragioni salutistiche, una volta resesi conto che il consumo di carne è tra le principali cause di molte patologie degenerative come l’arteriosclerosi o il cancro, prime cause di morte nei paesi industrializzati.
Tuttavia poche persone sono consapevoli dell’importanza della scelta vegetariana per altri due aspetti strettamente connessi e non meno importanti. Pochi, infatti, sanno che la produzione intensiva di carne ha conseguenze devastanti per l’ambiente e per l’economia dei paesi sottosviluppati e che quindi la diffusione di un’alimentazione che minimizzi l’assunzione di cibi animali è condizione necessaria per la soluzione del problema della fame nel mondo e della conservazione degli ecosistemi.
In effetti, il perché la bistecca nel proprio piatto abbia a che fare con problemi come la distruzione dell’Amazzonia e con i milioni di morti per fame nel terzo mondo non è così evidente, ma spiegarlo è uno dei compiti della nostra Associazione.
Nel 1999 la popolazione mondiale ha superato i 6 miliardi ed entro il ventunesimo secolo supereranno i 10. Già oggi 2 miliardi di persone sono malnutrite e 840 milioni sono ai limiti della sopravvivenza. Come può l’umanità fare fronte a questa insostenibile situazione e alle drammatiche prospettive che si profilano all’orizzonte a causa dell’espansione demografica? Come può la Terra fornire da mangiare a tutti i suoi abitanti? Dove trova il cibo necessario?
Anche chi ha analizzato in profondità questi problemi può non avere una risposta certa a queste domande, ma almeno su una cosa non ci possono essere dubbi: <strong>è assolutamente impossibile alimentare tutta l’umanità con una dieta come quella dell’americano o dell’europeo medio, in cui oltre il 60% delle proteine deriva da fonti animali e la ragione di ciò sta nella bassissima efficienza della produzione di alimenti animali.</strong>
La produzione di carne necessita enormi quantità di prodotti vegetali da destinare all’alimentazione degli animali allevati e quindi grandissime estensioni di terreno da adibire a pascolo o alla coltivazione di foraggio. Infatti, gli animali convertono solo una piccola parte di ciò che mangiano in carne commestibile, mentre gran parte del foraggio è espulso sotto forma di escrementi oppure è utilizzato dall’animale per formare tessuti non commestibili (ad esempio lo scheletro) o per generare l’energia necessaria al suo metabolismo.
Se gli alimenti vegetali anziché essere usati per alimentare il bestiame, fossero direttamente destinati al consumo umano, con la stessa quantità di derrate si potrebbero nutrire molte più persone di quelle che è possibile nutrire utilizzando la carne degli animali.
Basti pensare che destinando un ettaro di terra all’allevamento bovino otteniamo in un anno 66 Kg di proteine. Destinando lo stesso terreno alla coltivazione della soia otterremmo nello stesso tempo 1848 Kg di proteine, cioè 28 volte di più!
Eppure, nonostante lo spreco di risorse alimentari che la produzione di alimenti animali comporta, i consumi di carne sono in costante crescita a livello mondiale, specie, nei paesi in via di sviluppo che vedono nell’alimentazione carnea un vero e proprio status symbol, un indice di benessere economico da rincorrere a tutti i costi. È indicativo che la produzione di carne in Cina è raddoppiata tra il 1991 e il 1998 fino a raggiungere i 53,1 milioni di tonnellate.
La conseguenza di tutto ciò è che metà della produzione cerealicola mondiale viene utilizzata per il bestiame e che ben il 65% di tutta la terra coltivabile dei paesi avanzati serve ad alimentare gli animali, mentre nel terzo mondo centinaia di milioni di persone muoiono letteralmente di fame.
Inoltre stiamo assistendo ad una graduale riduzione delle superfici coltivabili a causa della desertificazione o dell’impoverimento dei suoli. Questo fenomeno è direttamente collegato alla produzione di carne, dato che per fornire spazi per i pascoli o per coltivare foraggio per gli animali è inevitabile il ricorso alla deforestazione. Nel centro America, a partire dagli anni ’60, oltre un quarto delle foreste sono spazzate via per ottenere spazio per gli allevamenti, ma un dato è forse ancora più drammatico: l’88% dei terreni disboscati nell’amazzonia è adibito a pascolo.
In sintesi sono gli allevamenti intensivi dei paesi industrializzati a togliere letteralmente il cibo dalle bocche affamate del terzo mondo tanto che in Etiopia, durante la spaventosa carestia del 1984, mentre migliaia di persone morivano di fame ogni giorno, parte della terra del loro paese produceva mangimi per gli allevamenti di bestiame europei.
Il complesso panorama fin qui delineato senza la pretesa di essere esaustivi, dovrebbe essere sufficiente per dimostrare che lo sviluppo sostenibile, la difesa degli ecosistemi in pericolo e la lotta alla fame nel mondo sono assolutamente incompatibili con l’alimentazione carnea diffusa nei paesi industrializzati e che, al contrario, la diffusione dell’alimentazione vegetariana è in grado di contribuire significativamente alla soluzione di quei problemi.
Marco Lorenzi
Tratto dalla Rivista L’Idea Vegetariana N.124 del 13/11/2000